DI RICONOSCIMENTI ABBARBICATI
E’ maggio, è maggio.
Un’amica mi viene a trovare per farsi un aperitivo a casa. Mi cambio, finisco di tingere i colori, lavicchio le mani e gl’avambracci. La tempera mi finisce casualmente anche sulle gambe. E’ il mio giorno “libero”, ma a me non piace definirlo così. E’ il mio giorno-estéso. Il drappo da pittura svolazza alla base del cavalletto, e sopra il reggimento in noce leggo made in italy. Un cavalletto made in italy, e mi vien da ridere come io possa possederne uno. Il gatto rimira nel dipinto, per un poco si lascia fogliare, poi si lascia a tonfo sul pavimento, rivolgendomi la pancia.
Lei fa il suo ingresso e io come di consuetudine m’imbarazzo un poco del disordine abitativo. In tutta risposta ho un dovere di dissenso docile e gentile, mi ricambia incredula e mi dice: “certo che è una fatica entrare in casa tua. Mi son dovuta autoinvitare per più d’un anno, e mi hai tenuta in stallo così. E’ meravigliosa, ti somiglia tutta. L’hai fatta su sola, qua poi“. Entrare è una fatica – incalzo – a uscire lo è incredibilmente, replico. Volteggio con il palmo della mano mostrandole gli angoli dell’abitacolo e le spiego che qui, dapprima, nulla c’era. “Certo, certo. Anche quando stavi in Emilia Romagna, facevi questi giochi di design. E’ tutto prestigio, perchè sei una maga. I quadri, le analogiche. Chissà cos’hai sempre dentro quell’anima lì. Io lo so poco ma è tanto!”. La guardo, poi l’abbraccio e le prendo borsa sgargiata. La ripongo a pie’ dell’appendiabiti.
Ci sediamo al tavolo, ci osserviamo un poco facendo palleggiare le iridi qua e là. Sorridiamo, e io penso che si tratti di sorrisi endogeni sbozzati. Quelli dei neonati, privi di vincolo comunicativo. Presto, serviamo i calici e iniziamo a fumare sigarette. Lei è intatta e immolata nel tempo, io ho sempre indosso – come fosse il capo preferito d’abbigliamento – questo mutamento imprevedibile, mi dice. Poi si corregge, e dice che è pelle, involucro. L’involucro di qualcosa che non ha dimora ed è altro. Sì, sì, finisco il primo bicchiere. Facciam leste ad aggiornarci sugli ultimi avvenimenti e lei farfuglia molte parole dolci. Un’amicizia di cinque anni, la vivi un poco per bisbigli. E poi, ci cacci un bell’urlo, di quelli morbidi. Le appoggio una delle mie sigarette sulle labbra e gliel’appiccio, dicendole che le voglio un gran bene. La mia amica, essendo più immediata, dice “Io sono proprio innamorata. Però tu vuoi sempre starmi alla larga! Non faccio in tempo a chiudere gli occhi, che voli via. Io lo so che tu sei di mondo, però che noia non poterti rompere le palle per un caffè al volo, in un giorno qualunque”, aspira e ride d’accompagnamento. Poi dice che scherza. Dice se dovessero passare anche vent’anni, tu saresti lì e io sarei qui. E’ impossibile che esista questa cosa, ma con te è certo e non ha bisogno di esserlo per obbligo. Con te è così naturale.
Mi alzo dalla sedia, sono al terzo bicchiere di bianco. Vado verso il diffusore mp3 e inserisco il disco dei Talk Talk. Lei beve e bofonchia: “Ecco, nemmeno un Reggaeton, neanche una commercialata! Le balli tu, queste”. Mi dirigo verso di lei, le sfilo la sigaretta dalle dita e la invito a danzare in mezzo alla stanza. Lei scende tutta verso il basso, e io l’accompagno tendendo tutto il busto in alto, con le braccia, ondeggiando. I calici sono saldi nelle strette, e la sigaretta scenera a terra. It’s My Life rimbomba fra le quattro mura e lei si lascia sfuggire un bella però questa. La affianco, e la circondo ballando, ridiamo mentre i capelli arieggiano. I miei ora, sono di nuovo corti. Siamo entrambe a piedi scalzi. La canzone, invece di durare quattro minuti e ventisette secondi, impiega a eviscerarsi un’eternità e io fermo il tempo. Agguanto la polaroid a colori, munita già di cartucce, la aggiusto sul treppiede e faccio partire un autoscatto. Così, la fotocamera chiude l’otturatore mentre siamo vicine. Balliamo così per più di quaranta minuti, e ci diciamo poco con il verbo, e tanto con il corpo. Micio ci gira intorno con circospezione, poi con divertimento. La codina è bella alta e zampetta in cerchio.
Le ore decorrono, e ci congediamo dopo aver toccato dagli argomenti più idioti, a quelli più scomodi. All’uscio, prima di raccogliersi il giacchetto e la borsa, mi lascia stringendomi forte: “Grazie all’infinito, un regalo. Sei l’amica più vera che ho.” Io, commossa, le consegno l’istantanea fotografica e le chiedo di prendersi cura di lei, di guidare appiano, di non scordarsi di guardare. Glielo chiedo come se dovessi assicurarmi di lei. I suoi occhi scurissimi guardano i miei e al cambio di luce, mi rassicura. Prima di chiudere la porta, si ferma sul principio delle scalinate e rimarca: “Tu farai sempre cose, non ti fermi mai. Resta volando. Per me, è importante che tu quantomeno mi ti lasci accompagnare. Capito?”. Da canto mio, cerco di non farmi inumidire troppo le palpebre. Lascio la porta aperta e la abbraccio di nuovo, la tengo per mano. Le dico le cose più d’amore che conosco. Scendendo, mi sussurra, forte, che è fiera di me.
La sera cala, e io mi ritrovo a cucinare la cena tardi. Bevicchio, bado alla cottura. Sono spoglia, perchè il caldo comincia a insinuarsi prepotentemente anche qui, ad alta quota. Guardandomi nel riflesso dello specchio del soggiorno, lì non vedo altro che lei. E capisco, a toni caldi, che sentirsi noi è questo. E, mi rendo conto con abbagliante stupore, che seppur il mio compleanno arrivi poi, il regalo di un istante si annida fra le pieghe più improbabili.
Un bacio così soffice, è quello di un riconoscimento. E’ maggio, è maggio.
Una narrazione a cura di © M. A. STANISTEANU